Lo ha statuito la Corte di Cassazione in una recente pronuncia, la n. 27682 del 2021 in tema di responsabilità professionale medica. Integrerebbe, dunque, l’esistenza di un danno risarcibile anche l’omissione da parte del medico della diagnosi al paziente di un processo morboso terminale.
Essa, infatti, nega al paziente sia di essere messo nelle condizioni di poter scegliere cosa fare nell’ambito delle conoscenze offerte dalla scienza medica del momento per garantirsi la salute o ricorrere a trattamenti lenitivi fino all’esito infausto, sia di programmare il suo essere persona, e quindi le sue attitudini psico fisiche in vista di quell’esito, anche ai fini della mera accettazione della propria condizione.
La violazione di questo diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi di vita, determinata dal colpevole ritardo diagnostico, deve essere tenuta distante dalla perdita di chances, connessa invece allo svolgimento di specifiche scelte di vita che non si sono potute compiere: essa infatti rappresenta la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile, tale da non richiedere neppure l’assolvimento di alcun onere di allegazione probatoria da parte del danneggiato, potendosi pervenire ad una liquidazione del danno in via equitativa.
Pertanto, in caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, si deve ritenere che i danni di cui può essere chiesto il risarcimento siano al contempo il pregiudizio all’integrità fisica del paziente, la perdita di chance di guarigione, e anche la lesione del diritto
di autodeterminarsi inteso come la perdita di un ventaglio di opzioni con le quali scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita.