STOP alle TELEFONATE dei CALL CENTER
Dal 27/7/2022 è infatti operativo il nuovo registro pubblico delle opposizioni (RPO) che consente ai cittadini di opporsi all’utilizzo del proprio numero telefonico, di rete fissa o cellulare, e dell’indirizzo postale presente negli elenchi pubblici, per finalità pubblicitarie e ricerche di mercato.
Il servizio è gratuito.
Tutti i cittadini intestatari di un contratto telefonico possono iscriversi al servizio bloccando così l’utilizzo del proprio numero per finalità pubblicitarie da parte degli operatori di telemarketing.
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Prescrizione di 5 anni per il risarcimento dei danni riflessi
La Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 14471/2022 del 16.2.2022 si è pronunciata sulla natura della responsabilità della struttura sanitaria nei confronti dei parenti del paziente danneggiato (o deceduto), quando invocano il risarcimento di danni subiti iure proprio, affermando la natura extra contrattuale della stessa.
“E’ pacifico, infatti, che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati iure proprio dai congiunti di un parente danneggiato o deceduto è qualificabile come extracontrattuale”.
La struttura sanitaria, dunque, è responsabile contrattualmente solo verso il pazientenon verso i parenti.
Pertanto, i congiunti devono tener presente che non possono avvalersi del termine di prescrizione di 10 anni previsto per la responsabilità sanitaria di tipo contrattuale dovendo, invece, chiedere il risarcimento dei danni da loro subiti nel rispetto del termine di prescrizione di 5 anni.
Stop all’attribuzione automatica del cognome del padre ai figli.
Lo scorso 27 aprile, la Corte Costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sulle norme che regolano, nell’ordinamento italiano, l’attribuzione del cognome ai figli.
In particolare, la Corte si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre, e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori: tali norme sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
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INDENNIZZO PER CHI RIPORTA DANNI PERMANENTI IN CONSEGUENZA DEL VACCINO ANTI SARS-COV2
Il Decreto Sostegni Ter pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 27 gennaio allo scopo di aiutare le imprese in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria, si è occupato anche dello stanziamento di fondi per 50 milioni di euro per l’anno 2022 a favore di chi ha subito lesioni o menomazioni permanenti a causa del vaccino anti Covid. In particolare, ha previsto l’introduzione all’interno della Legge 210/92 (norma di riferimento per danni da vaccinazioni) di un articolo che prevede che l’indennizzo spetti “alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge, anche a coloro che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti Sars-CoV2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana”.
Come si propone la domanda
Innanzitutto, sarà necessario provare di aver subito lesioni così gravi da aver causato una menomazione permanente dell’integrità psicofisica, e provare che il danno subito è stato conseguenza del vaccino somministrato.
In presenza di questi presupposti, la domanda dovrà essere presentata alla propria Regione di residenza, inviando la documentazione alla ASL regionale di competenza del territorio in cui il cittadino risiede. Il termine per la presentazione è di tre anni da quando l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno; in caso di decesso del danneggiato, connesso con patologie conseguenti la titolarità dell’indennizzo, gli aventi possono presentare domanda entro il termine di 10 anni dalla data del decesso.
La ASL, ricevute la domanda e la documentazione necessaria, avvierà l’istruttoria verificando la completezza di quanto inviato dal cittadino. Successivamente invierà la documentazione alla Commissione Medica Ospedaliera che convocherà il cittadino per la visita.
Infine, la CMO confermerà o meno l’esistenza del nesso causale tra il danno ricevuto dal cittadino e il vaccino Covid, la gravità dello stesso e la tempestività della domanda, in un verbale che verrà inviato all’interessato. In caso di rigetto sarà possibile, entro 30 giorni, fare ricorso al Ministero della Salute.
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MERITEVOLE DI TUTELA IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE DEL PAZIENTE.
Lo ha statuito la Corte di Cassazione in una recente pronuncia, la n. 27682 del 2021 in tema di responsabilità professionale medica. Integrerebbe, dunque, l’esistenza di un danno risarcibile anche l’omissione da parte del medico della diagnosi al paziente di un processo morboso terminale.
Essa, infatti, nega al paziente sia di essere messo nelle condizioni di poter scegliere cosa fare nell’ambito delle conoscenze offerte dalla scienza medica del momento per garantirsi la salute o ricorrere a trattamenti lenitivi fino all’esito infausto, sia di programmare il suo essere persona, e quindi le sue attitudini psico fisiche in vista di quell’esito, anche ai fini della mera accettazione della propria condizione.
La violazione di questo diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi di vita, determinata dal colpevole ritardo diagnostico, deve essere tenuta distante dalla perdita di chances, connessa invece allo svolgimento di specifiche scelte di vita che non si sono potute compiere: essa infatti rappresenta la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile, tale da non richiedere neppure l’assolvimento di alcun onere di allegazione probatoria da parte del danneggiato, potendosi pervenire ad una liquidazione del danno in via equitativa.
Pertanto, in caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, si deve ritenere che i danni di cui può essere chiesto il risarcimento siano al contempo il pregiudizio all’integrità fisica del paziente, la perdita di chance di guarigione, e anche la lesione del diritto
di autodeterminarsi inteso come la perdita di un ventaglio di opzioni con le quali scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita.
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RISARCIMENTO PER DANNO DA VACCINO ASTRAZENECA: CHI PUÒ CHIEDERLO?
Negli ultimi mesi le indicazioni dell’Aifa sull’utilizzo del vaccino AstraZeneca sono cambiate più volte: dapprima veniva autorizzato solo per soggetti di età compresa entro i 55 anni, poi sospeso in attesa del parere dell’Ema (European Medicines Agency) dopo alcuni episodi di trombosi, quindi raccomandato per gli over 60. L’Aifa stessa è arrivata ad indicare/consigliare il farmaco per i più giovani ritenendo “un utilizzo preferenziale dei vaccini a RNA (Pfizer o Moderna) nei soggetti più anziani e/o più fragili” e “un utilizzo preferenziale del vaccino AstraZeneca, in attesa di acquisire ulteriori dati, in soggetti tra i 18 e i 55 anni, per i quali sono disponibili evidenze maggiormente solide”. Poi invece le cose sono cambiate e il vaccino in questione viene raccomandato per i soggetti over 60 dal Ministero della Salute: “sulla base delle attuali evidenze, tenuto conto del basso rischio di reazioni avverse di tipo tromboembolico a fronte dell’elevata mortalità nelle fasce di età più avanzate si rappresenta che è raccomandato un suo uso preferenziale nelle persone sopra i 60 anni. Chi ha già ricevuto una prima dose Vaxzevria, può completare il ciclo col medesimo vaccino”. Successivamente, l’Aifa ha precisato anche che “la sicurezza della somministrazione di AstraZeneca nei soggetti di età inferiore a 60 anni rimane un tema ancora aperto e sul quale vi sono margini di incertezza”.
È dunque evidente che in merito all’utilizzo dl sopraindicato vaccino, a differenza degli altri impiegati, si sia generata una confusione a livello informativo da parte dello Stato ed, in particolare, del Ministero della Salute. Tale situazione può aver determinato o determinare nei soggetti che hanno ricevuto una o due dosi, oppure la cosiddetta vaccinazione eterologa, uno stato di stress e paura, un patema d’animo che può costituire un danno risarcibile. Detto danno morale deve essere certificabile, ovvero supportato da documentazione medica del curante o dello psicologo e, solo in questo caso, potrà dare diritto a chi lo ha sofferto di agire in sede amministrativa (TAR) o in sede civile, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito. Le azioni non saranno nei confronti della ditta farmaceutica produttrice del vaccino, ma nei confronti dello Stato italiano ed in particolare del Ministero della Salute per aver dato le indicazioni discordanti sopra indicate.
Resta inteso che chi ha subito danni biologici, permanenti o temporanei, potrà agire in sede civile secondo le regole ordinarie in ambito di responsabilità medica, per il risarcimento degli stessi, sulla base della documentazione medica e della relazione medico legale che verrà elaborata.
Si ricorda infine l’indennizzo previsto dalla Legge 201/92 a carico dello Stato per essere stato sottoposto a vaccinazione da cui è derivata la menomazione psicofisica permanente.
In entrambi i casi sopra indicati, trattandosi di danno biologico, l’azione potrà essere esperita a prescindere dal vaccino ricevuto, non essendo collegato alla contraddittorietà di indicazioni cui si accennava prima.
Chiarita e ribadita l’importanza della campagna vaccinale, si sono voluti sopra illustrare i rimedi in caso di danno sofferto in conseguenza della vaccinazione.
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IL GIUDICE DI PACE DI PADOVA DICHIARA NULLO IL CONTRATTO DI CARTA DI CREDITO REVOLVING PROPOSTO IN OCCASIONE DELLA VENDITA DI UN PRODOTTO DI CONSUMO
Il caso nasce da un decreto ingiuntivo nei confronti di un consumatore che molti anni prima acquista un divano, optando per un pagamento rateale. Pertanto, il negoziante fa sottoscrivere all’acquirente i moduli predisposti dalla Finanziaria, nei quali è compresa l’apertura di una linea di credito mediante carta revolving. Si tratta di una carta grazie alla quale il cliente ha a disposizione una somma di denaro da utilizzare a piacere, in un’unica volta o in più occasioni, che può restituire con comodi rimborsi mensili. Quando la usa la sua disponibilità diminuisce, ma si ripristina automaticamente a ogni rimborso di rata. Ogni rata comprende una quota capitale e una quota interessi. La quota capitale va a ripristinare il credito disponibile ma la quota interessi, per effetto di un complesso meccanismo moltiplicatore mensile, determina una spirale difficile da controllare.
Tornando al nostro consumatore, egli utilizza la carta per diversi anni, con l’applicazione di importanti tassi di interesse che nel tempo fanno maturare un debito nei confronti della Banca. Decide quindi di saldare il dovuto e restituire la carta, ma la Banca richiede ulteriori pagamenti, che sfociano in un decreto ingiuntivo.
Gli avvocati Magosso e Verdino oppongono il decreto ingiuntivo, sollevando eccezioni in merito alla nullità del contratto sotto molteplici profili. Finalmente la sentenza dello scorso 25 marzo del Giudice di Pace di Padova conclude la vicenda, dichiarando la nullità del contratto relativo alla carta di credito revolving, poiché trattasi di “un’attività di credito complessa e onerosa” integrante servizio di attività finanziaria che, in quanto tale, non può essere esercitata dal negoziante al momento della vendita del bene (nella fattispecie un divano).
La sentenza risulta molto importante per la tutela dei consumatori che spesso, inconsapevolmente, si trovano di fronte a contratti ben diversi e molto più onerosi rispetto a quelli che credono di sottoscrivere.
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Assemblee di condominio ai tempi del Covid
Lo svolgimento delle assemblee di condominio deve riteresi, al momento attuale, pienamente legittimo.
Già infatti prima dell’ultimo intervento normativo in materia, le assemblee di condominio non rientravano nel novero delle riunioni vietate, in quanto aventi connotazione eminentemente economica: si consideri infatti che esse svolgono un importante ruolo nella filiera dei servizi di fornitura di energia elettrica, edilizia, approvigionamento idrico, configurandosi, pertanto, come necessarie per assicurare la vivibilità e la prosecuzione del funzionamento dei condomini stessi.
Tale situazione ha trovato conferma nell’ultimo D.P.C.M., entrato in vigore il 14 gennaio 2021, ove è espressamente consentito lo svolgimento delle riunioni private, addirittura in presenza, essendone solo fortemente raccomandato lo svolgimento in modalità a distanza.
Risulta infatti possibile, a seguito della modifica dell’articolo 66 delle disposizioni di attuazione al codice civile, avvenuta ad opera dell’art. 5 bis comma 1 del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito in legge 27 novembre 2020 n. 159, previo consenso della maggioranza dei condòmini, che l’assemblea si svolga in video conferenza, riducendo così fortemente l’esposizione dei condomini al rischio di contagio. Tale possibilità, essendo prevista da una norma di legge, prevale su qualsiasi disposizione per la convocazione dell’assemblea prevista dal regolamento di condominio, anche se di natura contrattuale.
In alternativa, per la convocazione delle assemblee in presenza, rimane sempre necessaria l’adozione delle precauzioni sul distanziamento, e dei dispositivi di protezione e di disinfezione.
L’amministratore di condominio e il proprietario che viene nominato presidente dell’assemblea devono, tuttavia, essere consapevoli che, nel caso di contagio, devono rendere conto di aver condotto la riunione in presenza nel modo dovuto.
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IL TRIBUNALE DI FIRENZE CHIEDE ALLA CORTE COSTITUZIONALE SE SIA GIUSTO CHE IL DANNEGGIATO ANTICIPI LE SPESE DI CTU
Con l’ordinanza del 21 maggio 2020 il dott. Minniti del Tribunale di Firenze rimette alla Corte Costituzionale la questione di legittimità avente ad oggetto il “contrasto tra gli art. 2, 3, 24 e 32 Cost. ed il combinato disposto dell’art. 8, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 8 commi 1° e 2° della l. 8 marzo 2017 n.24, dell’art. 669-quaterdecies e dell’art. 669-septies c.p.c. nella parte in cui esclude, nella interpretazione consolidata e divenuta diritto vivente, che il giudice possa addebitare, in tutto o in parte, a carico di una parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi, dell’attività del collegio nominato per lo svolgimento di CTU nel procedimento di cui all’art. 696-bis c.p.c. ed all’art. 8 della legge 8 marzo 2017 n.24, che l’ha resa condizione di procedibilità della domanda di merito”.
Il caso sottoposto al Giudice in questione trae origine da un ricorso ex artt. 696-bis c.p.c. e 8 della Legge 8 marzo 2017, n. 24 per l’accertamento dal punto di vista medico legale dell’errore sanitario, del nesso causale e delle conseguenze pregiudizievoli subite da una intera famiglia.
La Legge 24 del 2017 (Legge Gelli) prevede che chi vuole esercitare un’azione risarcitoria in ambito di responsabilità professionale medica è tenuto preliminarmente a proporre ricorso, ai sensi dell’art. 696 bis del c.p.c., attraverso una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. La presentazione di tale ricorso costituisce condizione di procedibilità della domanda di risarcimento. Rimane comunque fatta salva la possibilità di esperire in alternativa ed in via residuale il procedimento di mediazione obbligatoria ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, del Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
Il Giudice del Tribunale di Firenze si è chiesto, dunque, dopo aver passato in rassegna le decisioni di altri Tribunali e della Corte di Cassazione, se sia giusto che le spese, spesso importanti, sostenute per il pagamento del compenso del Consulente Tecnico nominato dal Giudice, ovvero il medico legale, siano interamente anticipate dal paziente danneggiato, salvo, eventualmente ottenerne il rimborso all’esito del giudizio di merito, dunque molti anni dopo. Tale sistema renderebbe eccessivamente gravoso l’accesso alla giustizia, tanto da scoraggiare iniziative da parte di chi possiede meno risorse. Porterebbe, addirittura, il rischio concreto di porre “il paziente non abbiente in una posizione di debolezza economica nella trattativa pur all’interno di un procedimento giurisdizionale” che è obbligatorio e condizione di procedibilità. Alla luce di questo ragionamento il Giudice di Firenze ritiene di rivolgersi alla Corte Costituzionale affinché valuti la legittimità della Legge Gelli nella parte in cui impone al danneggiato di accollarsi tutte le spese di CTU. A questo punto non resta che attendere la decisione, auspicando che possa rendere più accessibile l’accesso alla giustizia da parte di chi è stato danneggiato da errore medico.
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OSPEDALE CONDANNATO PER LA NASCITA INDESIDERATA
Il Tribunale di Brescia, con una recente sentenza, ha condannato l’Ospedale che aveva eseguito l’intervento di sterilizzazione, evidentemente non riuscito, poiché dopo due anni la donna era rimasta in cinta del quarto figlio. Il Tribunale ha riconosciuto ai genitori la lesione del diritto di autodeterminazione relativamente alla scelta di non volere più figli. In particolare, il Giudice ha rilevato la violazione degli artt. 2 e 13 della Costituzione che prevedono il diritto alla procreazione consapevole.
È stato dunque condannato l’Ospedale a pagare la somma mensile di € 300, quale contributo al mantenimento della bambina fino al compimento del venticinquesimo anno di età.
La sentenza in questione conferma l’orientamento dei Tribunali di Reggio Emilia e Tolmezzo che negli anni scorsi si erano pronunciati sul punto, ma anche della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 4738/2019, ha confermato il risarcimento stabilito in sede di merito e quantificato in 116.237 euro, oltre interessi legali per consentire alla coppia di mantenere il figlio non voluto. A essere condannato, in quel caso, non è stato un Ospedale, ma il medico di base, che aveva prescritto alla donna un farmaco non idoneo alla contraccezione.
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